
COL BUIO ME LA VEDO IO, di Anna Mallamo (Einaudi – aprile 2025)
Dopo aver terminato “Col buio me la vedo io” ho la netta sensazione di aver avuto a che fare con una storia venuta a visitarmi da un tempo lontano.
Per alcuni giorni è stato come avere per le mani qualcosa di misterioso, arrivato da chissà dove, come una grossa conchiglia o un oggetto rinvenuto su una spiaggia dopo una mareggiata.
Un romanzo breve che ho letto con la lentezza che si riserva alle cose che meritano attenzione, perché è un libro costruito con la cura meticolosa di una creazione artigianale.
Resterà per me accanto ad altri due libri che ho molto amato, “L’isola e il tempo” di Claudia Lanteri e “Quello che so di te” di Nadia Terranova, in una sorta di trilogia intessuta di fili matrilineari, presenze d’oltretomba, discendenze e grovigli di memorie da snodare.
Una triangolazione di voci che non si basa solo sulla ovvia prossimità geografica – Reggio Calabria, Messina, isola di Linosa i tre vertici del triangolo – ma è resa possibile da quel complesso sistema di vuoti e di pieni, presenze e mancanze su cui ciascuno dei tre libri si sostiene.
Così diversi eppure così simili, questi tre mormorii (Juan Rulfo li avrebbe chiamati “los mormullos”) , tre sussurri mediterranei e ancestrali, voci che svelano e confondono in un sol colpo, al punto che si ha la sensazione di capire e insieme di confondersi, di avanzare e al tempo stesso volgersi indietro, man mano che si prosegue nella lettura.
Anna Mallamo
“Col buio me la vedo io”
Einaudi editore.
Recensione di Valerio Scarcia
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