CINQUANTA MODI PER DIRE PIOGGIA Asha Lemmie

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CINQUANTA MODI PER DIRE PIOGGIA, di Asha Lemmie

Neanche il tempo di abituarsi alla prosa delle prime pagine e già si parte con un abbandono, di quelli dolorosi. La piccola Nori, 8 anni, viene lasciata dalla madre davanti alla villa immensa della nonna, appartenente alla famiglia più nobile del Giappone, cugina dell’imperatore. Non è l’amore ad accoglierla. Quella bimba porta inciso sulla pelle il colore del tradimento, frutto di una relazione scandalosa con uno straniero, per di più di colore.

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Ad attenderla saranno anni terribili di segregazione in una soffitta, nella quale si arriverà a trattamenti di bagni con la candeggina per tentare di schiarire il colore della vergogna. L’unico suo conforto sarà il rumore della pioggia sul tetto, tanto da preferirla ai giorni di sole i cui raggi non procurano suoni di alcun genere.

Con l’arrivo del fratellastro Akira (legittimo erede) troverà la forza di avversare, tra mille colpi di scena, la vita impostale. Sarà lui, tra le altre cose, a trasmetterle l’amore per la musica.

Ambientato nel Giappone del primo dopoguerra la Lemmie mette in scena il duro contrasto tra passato, permeato di vetusta tradizione e apparenza, e la modernità dei sentimenti umani.

Per Asha Lemmie trattasi di opera prima, e devo dire che è scritta divinamente, apprezzandone particolarmente i dialoghi ben curati, però non mi ha convinto del tutto. A mio avviso tende a forzare troppo la mano sui sentimenti e sul senso di ingiustizia, è un continuo ammiccare di colpi di scena strappalacrime.

Come dire, è uno scritto troppo “studiato” e poco spontaneo, forse frutto della sua formazione tra corsi di scrittura creativa e ambient editoriale, chissà.

Restiamo comunque in una fascia medio-alta, e quindi ne consiglio la lettura.

Ah, dimenticavo. Dall’incontro tra il pianoforte di Akira e il violino di Nori vien fuori una colonna sonora magnificamente struggente, giusto per aggiungere altro pathos.

“Akira suonò la prima nota. Poi la seconda. Poi la terza. Ognuna più bassa e minacciosa della precedente.

Nori sentì qualcosa spezzarsi dentro di sé. E in quel momento, senza nemmeno pensare, rispose alla chiamata. Non lo stava seguendo, né lo precedeva: le loro melodie erano intrecciate. Erano due metà di un tutt’uno.

Una lacrima le solcò il viso. La paura, il dolore, il disprezzo scivolarono via da lei, incanalandosi nel suono. Dimenticò ogni difficoltà, dimenticò la presenza del pubblico. C’erano solo due persone al mondo.

Andarono sempre più veloce, fino a danzare in una nube rossa e delirante. Poi, quando la melodia rallentò per il finale, giunse un messaggio chiaro come il sole: Fine.”

Recensione di Antonio Trotta
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