Il romanzo di Dickens di cui mi accingo a parlare uscì con un duplice intento: attaccare il sistema giudiziario britannico e offrire un ritratto vivo e concreto, non privo di una certa ironia, della società londinese del tempo.
Ci troviamo, in particolare, di fronte a una causa che si discute da diversi anni, una causa che ha bruciato generazioni e distrutto i principali attori. La narrazione avviene in parte in prima persona, offrendoci il resoconto di una delle protagoniste, la giovane orfana Esther Summerson, presa in carico come cameriera proprio da uno degli eredi coinvolti nella causa che abita nella “Casa Desolata” con due cugini (anch’essi coinvolti), e in parte in terza persona nella voce dell’autore che ci illustra ciò che accade nell’ambiente intorno alla suddetta casa.
Sono molte infatti le vicende narrate, e tanti i generi letterari toccati, morti inspiegabili (con un ispettore integerrimo come Bucket), intrighi familiari, figli illegittimi e amori più o meno corrisposti, e una galleria sterminata di personaggi.
Proprio quest’ultimo aspetto rende la lettura piuttosto impegnativa: non nascondo infatti che avrei gradito un elenco delle figure coinvolte in apertura di romanzo (come ad esempio in “Dombey e Figlio”), ancor più per il fatto che salvo qualche eccezione viene parzialmente meno quella caratterizzazione umana che aveva fatto la fortuna di figure storiche della produzione del nostro.
Ne emerge un grande romanzo corale, denso di eventi a tratti surreali (ma neanche troppo pensando al sistema giudiziario italiano), quadri a volte spietati e impietosi della società del tempo, senza dimenticare quei passaggi dolorosi che da sempre compaiono nei suoi romanzi e che rendono tanto drammatica quanto inevitabilmente reale la narrazione. Una lettura certamente impegnativa, che richiede maggiore concentrazione rispetto ad altre opere di Dickens, ma certamente affascinante nella sua coralità, completezza e, ancora una volta, grande attualità.
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