BARBARA Thomas Hardy

Barbara

BARBARA, di Thomas Hardy

Non credo sia lecito non amare Thomas Hardy.

Aspettate un attimo. Se state già pensando all’attore che ha collezionato una nomination all’Oscar per “The Revenant”, vi sbagliate di grosso. Non mi fraintendete, il film dovete assolutamente vederlo. Non per altro, perché Leonardo Di Caprio ci ha finalmente vinto un Oscar con questo film.

Ma io sto parlando dello scrittore Thomas Hardy. Quel genio vittoriano capace di scrivere romanzi indimenticabili, con un lirismo e una forza che nessun amante della letteratura inglese potrà mai contestare.

BARBARA T. Hardy
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Lo ammetto, sono di parte. Adoro ogni singola parola scritta da Thomas Hardy. Ogni sua opera è un’opera d’arte, perché racchiude la poesia con cui egli si fece conoscere. Ma ha in sé molto di più. Il velo dell’occulto e del mistero, la difficoltà dell’uomo nel far fronte alle forze della Natura, che spesso lo condannano a perpetuare un destino di cui non è davvero padrone. E poi i suoi ritratti femminili. Grandi gemme di un panorama spesso arido ma colorato di note d’ambiente, in cui l’eroina femminile- sempre sapientemente descritta- spicca come l’unico fiore di un albero lussureggiante.

Ora che vi ho comunicato la mia dose di passione, posso raccontarvi in breve il capolavoro che è “Barbara”.

Questo romanzo (o meglio racconto lungo) è la storia di una donna.

Barbara è una giovane ragazza che, invaghitasi di Edmond Willows (il giovane più bello del paese), scappa con lui per celebrare un matrimonio segreto. Ovviamente, senza il consenso dei genitori, che per lei sognerebbero la posizione sociale che potrebbe offrirle il conte Uplandtowers. Ma la ragazza è decisa e, dopo il matrimonio, ritorna a casa della famiglia. Senonché, Willows viene inviato dai genitori di lei, che vorrebbero affinarne la cultura, in viaggio per il mondo. In Italia, il giovane conosce uno scultore, cui commissiona una statua di se stesso a grandezza naturale, da inviare alla moglie per supplire alla sua assenza. Ma prima che la statua giunga a destinazione, Willows è vittima di un terribile incidente, che ne deturpa le fattezze in modo irreversibile. Ritornato a casa dopo un periodo di convalescenza, i timori che la sua bella possa provare ribrezzo per il suo aspetto non vengono disattesi. Barbara è talmente colpita da quella visione, da rifugiarsi atterrita nella sua stanza, facendo sì che il marito fugga da lei col cuore spezzato. Non anticipo oltre e vi dico solo che, dopo varie vicissitudini, la statua giunge a destinazione, ma è ormai troppo tardi. Barbara, che ha cercato di dimenticare il marito, si ritrova davanti alla bellezza di un tempo e non resiste al suo fascino. Sarà così che, pazza d’amore, si crogiolerà in quella visione, consumando il suo fragile corpo e destinando se stessa alla perdizione.

Come si può notare, Hardy riprende in questo racconto il mito antico di Pigmalione. Lo scultore greco innamoratosi a tal punto della sua scultura da chiedere agli dei di renderla viva. Ma se il mito ha una degna conclusione (vi consiglio di leggere “Le Metamorfosi” di Ovidio, se siete curiosi), non avviene lo stesso per Barbara. Oltretutto, qui il mito è declinato al femminile, sempre per quella predilezione tipicamente hardiana verso le figure di donne.

Il racconto merita una lettura d’un fiato poiché ogni pausa comporterebbe la perdita del suo senso.

Ciò che si ricava da “Barbara” è la sensazione che anche qui Thomas Hardy abbia voluto mettere in risalto la debolezza della natura umana. Nello specifico quella di una donna che, vinta della bellezza, si perde nella sua contemplazione. E ne esce sconfitta, perché un bell’apparire è solo la punta dell’iceberg di un individuo. Non per niente lo scrittore, alla fine del racconto, ci tiene a precisare che Willows era ben più che un bel corpo: un animo risoluto e una mente intelligente, la cui unica colpa è stata quella di essere piacente.

Ritengo che questo grande romanziere e poeta sia stato il più schietto pittore della natura umana- maschile e femminile insieme. E non è affatto vero che le donne escano fuori dai suoi romanzi in maniera peggiore degli uomini. Spesso invece, sono loro a dimostrare la piccolezza dell’altro sesso.

Forse solo qui Hardy osa consegnare una figura di donna in negativo, e mi azzardo a spiegarlo con il fatto che il racconto appartiene agli ultimi anni di scrittura del romanziere. Quando il grande amore per la moglie era ormai solo un lontano ricordo, essendosi egli imbattuto nella scoperta della vanità dell’idillio del matrimonio.

E allora come rifiutare un racconto come “Barbara”, segno dell’animo stesso di uno scrittore sempre in lotta con se stesso?

Recensione di Alessandra Basile
BARBARA Thomas Hardy

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