Abbiamo intervistato Simona Baldelli partendo dal suo ultimo romanzo “Il pozzo delle bambole”
Intervista n. 278

Grazie per aver accettato questa intervista. Per prima cosa le chiedo quali sono per lei gli eventi fondamentali di una storia da raccontare e quali le sue fonti principali di ispirazione?
La prima cosa alla quale penso, nel momento in cui decido di scrivere un romanzo, non è la storia in sé, né gli eventi che si susseguono, ma il tema. Un argomento sul quale ho urgenza di riflettere. Solo a quel punto scelgo attraverso quali personaggi raccontarlo e le azioni che meglio permettono ai protagonisti di confrontarsi su quel tema. In quanto all’ispirazione, parte sempre dall’osservazione del presente e i nodi principali della nostra società, anche quando poi li travesto da “romanzi storici”.
Nel suo curriculum narrativo trovano spazio anche romanzi per ragazzi. Quali sono le difficoltà e le opportunità nel portare la propria proposta a un pubblico più giovane e quali gli accorgimenti da adottare?
La difficoltà principale è di evitare di rivolgersi ai ragazzi in “bambinese”, quel linguaggio fintamente giovane che in realtà è solo paternalismo: io sono l’adulto e tu il bambino, dunque mettiti lì che ti devo insegnare una cosa e lo faccio con un linguaggio semplificato, sennò non capisci.
Niente di più sbagliato. I ragazzi sanno andare in profondità e si accorgono subito se li trattiamo da “piccoli”.
Due anni fa è uscito “Il pozzo delle bambole“, un’opera che racchiude in sé più romanzi, come è nata l’idea di un lavoro così strutturato? Ce ne potrebbe fare una piccola panoramica?
Non so se Il pozzo delle bambole racchiuda più romanzi, è una valutazione che ne hanno dato alcuni critici letterari. Per me è stato naturale incrociare molti eventi, poiché si trattava di seguire i protagonisti fin da bambini per arrivare all’età adulta e agli episodi che raccontano la loro evoluzione. Anche qui sono partita da un tema, che era quello dell’esclusione, sentirsi sempre al margine della storia, pensare di non fare la differenza. E si sono sentiti così durante l’infanzia, nell’adolescenza, nel mondo del lavoro, nei cambiamenti della società. Fino ad arrivare a essere consapevoli di sé e del proprio peso specifico.

Quali sono le caratteristiche principali della protagonista Nina?
Nina incarna alla perfezione il tema: è l’esclusa per definizione.
Il tema del viaggio di formazione delle donne parallelamente agli eventi storici è molto ricorrente in opere letterarie e in questo caso è veramente ben rappresentato. Cosa deve avere un romanzo su questo argomento per sfuggire al pericolo della retorica e degli stereotipi?
Smettere di trattarle da eroine. C’è tutta una narrativa, da qualche anno a questa parte, che io chiamo di “donne che fanno cose”. Capisco che fino a poco fa la Storia e le piccole storie venivano raccontate prevalentemente da uno sguardo maschile, ma questo modo di intendere la letteratura come fosse un terreno di rivalsa lo trovo insopportabile. Se un personaggio maschile si prefigge uno scopo (è il punto principale di una trama) e lo raggiunge, è semplicemente un personaggio che raggiunge uno scopo. Nel caso di un personaggio femminile, viene sempre raccontato come un processo di riscatto, il risultato non è visto come un successo personale, ma sempre come atto dimostrativo nei confronti di qualcuno che ci ha vessato. Basta vittimismo, cominciamo a raccontarci in maniera diversa, più evoluta. Non ne posso più di “donne che fanno cose”. A me interessano le persone.
Nel 2021 è uscito “Alfonsina e la strada” con un’altra grande protagonista. Cosa l’ha colpita di questa persona e quale messaggio ritiene di trasmettere con il racconto della vita di Alfonsina?
Anche nel caso di “Alfonsina e la strada” sono partita da un tema. Volevo analizzare il “limite”, in senso generale. Fin dove possiamo arrivare, i limiti che la nostra condizione d nascita ci imporrebbe o quelli della società che pretende di definirci, il limite di tempo che abbiamo su questa terra. Mi pare che lo sport racconti perfettamente il superamento del limite, ogni nuovo record ci racconta l’essere umano che si espande. Mi pareva che Alfonsina Morini Strada (la prima e unica ciclista ad aver preso parte al Giro d’Italia maschile nel 1924) raccontasse perfettamente questo superamento del limite.

Lei ha esordito nel 2013 con “Evelina e le fate”, un romanzo storico dal titolo quasi fiabesco, che ricordi ne conserva? Lo consiglierebbe come opera per conoscere la sua proposta oppure indicherebbe altri titoli?
Ne ho un ricordo freschissimo, anche perché lo scorso anno è uscita la versione tascabile di Evelina e le fate e, per l’occasione, ho chiesto alla casa editrice di poterlo “sistemare”, ovvero lasciando l’impianto e i personaggi intatti ma ripulendolo da quelle ingenuità di linguaggio di cui, dopo dieci anni di scrittura e altrettanti romanzi, volevo liberarlo. Per motivi diversi, sono legata a tutti i miei romanzi e non saprei quale consigliare. Una cosa che mi piace molto, però, è che ciascuno di loro continua a vendere nel tempo, come se chi legge gli ultimi pubblicati, volesse recuperare i precedenti per conoscermi meglio. E questo rapporto a distanza coi lettori non smette di commuovermi. Quelli citati in questa intervista hanno tutti protagoniste femminili, mentre ne ho scritti più di uno con protagonisti maschili, ai quali sono molto legata. Abbia pazienza se lo sottolineo, ma altrimenti pareva una contraddizione su quanto ho detto prima circa i libri con “donne che fanno cose”.
Nei suoi lavori tocca temi molto attuali e importante, quanto può contribuire secondo lei la narrativa nel divulgare e nel sensibilizzare e comunicare con l’opinione pubblica?
Moltissimo. Le parole definiscono il nostro pensiero che è alla base delle nostre azioni. Preparano un immaginario. Spingono alla riflessione. Gli autori, specie quelli un po’ visionari, ci raccontano non solo il mondo com’è, ma come sarà.
Rimanendo sul campo della comunicazione, oggi la comunicazione e il confronto/scontro avvengono sempre più spesso sui Social Network: qual è il suo rapporto con questa realtà?
Io credo che i social e tutta la comunicazione orizzontale (intendendo una comunicazione che non ha più la forma di autorevolezza che avevano i media nel passato: l’ha detto la televisione) vadano considerati né più né meno come uno strumento, un utensile. Dipende dall’uso che ne fai. La televisione può essere bruttissima o una bellissima finestra sul mondo, dipendo da cosa scegli di guardare. Coi social è la stessa cosa, dipende da come contribuisci e l’uso che ne fai. Non ha senso combatterli, bisogna usarli con criterio, questo sì. A quel punto diventano anche preziosi mezzi di comunicazione e di relazioni.
Come ultima domanda, ringraziandola per la sua disponibilità, le chiedo se ha un’idea del tema di base per un prossimo romanzo.
Ho sempre delle idee, nel senso che ho sempre dei temi su cui ho voglia di riflettere. Al momento, quello che ha la precedenza sugli altri, è l’elaborazione del senso di colpa collettivo. Vediamo che ne verrà fuori.
Intervista di Enrico Spinelli
IL POZZO DELLE BAMBOLE Simona Baldelli
ALFONSINA E LA STRADA Simona Baldelli


Commenta per primo