Abbiamo intervistato Renato Dalpiaz riguardo al suo romanzo “Io & Donna Elisa”, ripercorrendone gli aspetti storici e sociali.
Intervista n. 226
Come prima domanda le chiederei di presentarci il suo ultimo romanzo “Io & Donna Elisa”.
“Io & Donna Elisa” vuole essere, nelle mie intenzioni, il seguito al mio primo romanzo, dal titolo similare “IO & Madda-lena”, non nel senso letterale del termine e neanche la continuazione della storia narrata nel primo libro, bensì il secondo di una trilogia che ha come comun denominatore un dipinto raffigurante una donna da cui prendere spunto per raccontare una storia. Naturalmente la mia passata professione d’antiquario, specializzato nei dipinti, specialmente quelli antichi, ha trovato terreno fertile per creare l’ambientazione dei miei libri. Il tutto è poi avvenuto con la creazione di una trama legata alla fantasia per il primo libro e miscelando, invece per il secondo, realtà ed invenzione. Infatti la vicenda da me raccontata, quella di Vincenzo Peruggia, è totalmente ripresa dai fatti accaduti agli inizi del’900, vicenda su cui io sono intervenuto inserendo luoghi e personaggi di mia fantasia, facendoli rimanere collimabili e plausibili ed ipoteticamente possibili, rispetto a quelli realmente accaduti.
Naturalmente, rispetto a questi ultimi, ho dovuto svolgere un lavoro di ricerca di cronaca storica, trovando esaustive notizie riguardo ai fatti avvenuti. Poi è stato mio compito costruire una trama cercando una prosa, una chiave narrativa, tale da poterne fare un romanzo. La storia, ben conosciuta, del libro tratta della vicenda di Vincenzo Peruggia, operaio emigrato in Francia dalla Lombardia, uno come che, come molti altri, andava alla ricerca di un futuro migliore. Per una serie di fatti accadutigli come un effetto a catena e con motivazioni personali indotte da molti fattori, un giorno Vincenzo si prenderà, con molta semplicità, dal museo del Louvre dove lavorava, la Gioconda Leonardesca. Dico “si riprenderà” e non “ruberà”, perché tale sarà la sua visione di ciò che fece. Questa motivazione condizionerà tutti gli avvenimenti che in seguito si svolgeranno. Questa storia mi ha affascinato fin da ragazzo quando, negli anni’70, seguii con interesse lo sceneggiato televisivo basato su questa vicenda. Poi ebbi modo, per vicende legate al mio lavoro, di avere ancora più informazioni sui fatti accaduti da varie fonti: riviste, televisione, libri, così che dopo molti anni, volendo scrivere dei romanzi, mi è venuto naturale ricordarmi di questa storia che tanto mi aveva affascinato.
Nel romanzo e Vincenzo Peruggia in prima persona a narrare la sua storia. Quanto e stato difficile immedesimarsi nei suoi pensieri e nei suoi ideali?
Fare raccontare questa storia dallo stesso protagonista, è stata la chiave narrativa su cui si basa il romanzo. Ritenendomi dotato di molta fantasia ed immaginazione, mi sono calato in lui, ho guardato con i suoi occhi, mi sono immedesimato nella sua psicologia, naturalmente a modo mio. Insomma ho cercato di essere una specie di sua coscienza tale da poter esternare, al suo posto, i sentimenti, le sensazioni e le emozioni da lui provate, facendogliele raccontare da quello che ho ritenuto fosse il suo punto di vista. A me riesce molto facile e spontaneo immedesimarmi nei personaggi dei miei romanzi, tracciarne l’introspezione psicologia, il carattere. Naturalmente il tutto è da me creato ed in cui s’inseriscono molti miei aspetti autobiografici, che si miscelano con quelli con i quali io caratterizzo i protagonisti principali dei miei romanzi.
Sorprende un po’ il momento in cui Vincenzo incontra per la prima volta D’Annunzio nel museo, con il timore anche solo di avvicinarsi a lui: oggi probabilmente quest’ultimo sarebbe circondato da persone col telefonino in cerca di un selfie. Sono cambiati i modi con cui ci interfacciamo con i divi o sono un po’ cambiati anche loro secondo lei?
Sono cambiati i tempi, anche se può sembrare banale, ma è la semplice verità. Vincenzo, come D’annunzio sono figli dei loro tempi e come tali vanno interpretati. Gente che aveva visioni della vita completamente diversi e distanti da quelli di oggi. A Tal proposito, parlando di D’Annunzio, vorrei sottolineare che, sebbene sia frutto della mia fantasia ciò che ho scritto riguardo ai loro incontri, cosa di cui non se ne parla mai quando si racconta questa storia, non sono però totalmente inventati. Infatti dalle parole, che ho ritrovato nelle mie ricerche, del suo segretario, tale Antongini, viene rivelato che Dannunzio incontrò il Peruggia che gli portò la Gioconda.
Dannunzio stesso scisse un libro (incompiuto e di cui ho una copia) destinato a divenire una sceneggiatura per un film mai realizzato, in cui descrive, in una forma quasi onirica, il loro incontro ad Arcachon, in Francia, dove gli fu portato il dipinto Leonardesco. Anche l’idea di riportarlo in Italia, secondo il suo segretario, fu del poeta che gli suggerì il nome dell’antiquario Geri, suo amico, a Firenze. Naturalmente io sono andato a nozze ad inserire tutto ciò nella trama e i particolari dell’incontro in terra francese li ho ripresi direttamente dal libro di D’ Annunzio.
Nel romanzo c’è una rappresentazione piuttosto esaustiva della situazione degli italiani che si trovavano per necessità in Francia, disprezzo e scherno compreso, a distanza di un secolo non sembra però che la situazione sia poi così cambiata, non trova?
Come detto prima tutto è cambiato da allora, quando esistevano dei forti nazionalismi e sciovinismo nelle società europee. Vincenzo Peruggia, in ogni caso, si trovava bene, a mio modo di vedere, in Francia, era la terza volta che ci andava, aveva molte amicizie e anche dopo i fatti raccontati ci tornò anche, tanto è vero che ci morì e ora è lì sepolto. Io ho conosciuto bene la Francia (in ogni mio romanzo è contemplata) per via del mio lavoro di antiquario e non ho mai trovato alcuna avversione verso chi viene da altri posti, tantomeno dall’Italia, che con loro condivide molte cose, culturalmente e storicamente.
Trovo che la sua narrazione molto dettagliata permetta al lettore di avere ogni elemento ben presente davanti agli occhi allo stesso tempo senza annoiarlo con passaggi a vuoto o inutili prolissità, condivide?
Si condivido e sono contento di sentirmelo dire perché è una cosa cercata e voluta. E’ come un lavoro fatto al cesello dopo aver scritto il romanzo su cui intervengo diverse volte in fase di correzione, grammaticale e strutturale, cambiando parole o verbi a secondo della scena descritta o dei personaggi che la stanno animando. A mio avviso la lettura dovrà essere scorrevole e armonica a prescindere dal tema che sto trattando.
Il romanzo restituisce molto bene la tensione emotiva del protagonista nei riguardi del capolavoro di Leonardo e mi ha riportato al celebre brano di Ivan Graziani “Monna Lisa”. Come è possibile trasmettere una sensazione così intima attraverso la parola scritta?
Nel mio caso posso dire che avviene tramite l’immaginazione e l’immedesimazione con il personaggio che sto descrivendo, nel dargli una personalità o un profilo psicologico. A volte mi aiuto con persone reali a cui ispirarmi, in altre avviene in piena fantasia creativa, oppure in un mix delle due cose. Mi diverte molto creare dei personaggi anche fisicamente, dare loro un aspetto visivo sempre però funzionale alla storia raccontata, come un regista cinematografico che cerca dei volti, sia veri o tramite il make-up.
Un anno fa usciva il suo prima romanzo, “Io e Maddalena”, anche questo con un’opera d’arte come elemento centrale. Quali punti di contatto e quali divergenze vede tra le sue due opere?
Il comune denominatore è sempre una donna dipinta in un quadro. Nel caso del mio primo romanzo, si trattava di un dipinto di Caravaggio, non tra i più conosciuti, che raffigura una donna che si tiene il viso tra le mani, identificata con una Maddalena. Su questo ho immaginato e sviluppato la trama di un racconto ambientato tra la Roma seicentesca di Caravaggio e la Francia dello stesso periodo. Mentre nel caso di “Donna Elisa”, come chiamava Il Peruggia la Gioconda (mia invenzione) il quadro è ben noto come la storia. Devo però sottolineare che la Monna Lisa inizierà ad acquisire la sua notorietà mondiale, proprio grazie all’impresa, come la chiamo io, del Peruggia. Prima era solo un bel quadro di Leonardo, uno dei tanti bei quadri, ma da allora, grazie a quel gesto divenne la Gioconda, nel senso di come la conosciamo ancora noi oggi.
Viene naturale chiedere se ha già in mente un’altra opera o artista come ispirazione per un prossimo romanzo.
Certamente, anzi già è stato scritto. Sarà il terzo della trilogia. Si tratterà anche questa una storia con dei personaggi reali, esistiti nella Roma di primi ‘800. Ci sarà sempre un dipinto, raffigurante una ragazza, una paesana imparentata con i briganti del sud del Lazio, dipinta da un pittore francese venuto in Italia per il suo Gran Tour artistico e classico-umanista. Anche questo sarà un mix tra fatti e personaggi realmente esistiti e quelli da me creati.
Oggi la comunicazione passa sempre più attraverso i Social Network, qual è il suo rapporto con questa dimensione?
Seguo Facebook, dove ho diverse pagine, personali, dedicate all’arte, alla scrittura e libri, su cui trascorro una parte delle mie giornate, partecipando anche a gruppi di cui sono soltanto un iscritto. Inoltre è divenuto una nuova fonte d’informazione generalista. Ho anche dei canali You Tube, dedicati all’arte in genere, un altro generalista con vecchi e rari video musicali, di costume e culturali, oltre ad uno dove posto video di canzoni e musica da me scritta. Come tutte le cose, i social possono avere degli aspetti negativi e positivi, bisogna saperli gestire intellettualmente.
Come ultima domanda una curiosità. Tutte le volte che sono stato al Louvre ho sempre constatato il diverso atteggiamento dei turisti tra la Gioconda e un quadro lì vicino sempre di Leonardo e per me molto più bello come La Vergine delle rocce. Si è mai chiesto il motivo di ciò?
Il motivo è semplice: La Gioconda è una icona Pop, è divenuto il quadro per eccellenza, ha un valore che va oltre all’aspetto artistico, un po’ come il Colosseo o la torre Eiffel. Gli altri quadri sono delle opere d’arte di cui la massa dei turisti non sa nulla se non quello che legge nelle guide del museo, roba per conoscitori insomma. Come detto prima, per la Gioconda tutto iniziò un giorno, quando un piccolo operaio venuto dall’Italia, decise di riprendersela, per se e per la sua nazione. Da quel giorno iniziò il mito di Monna Lisa.
Intervista di Enrico Spinelli
IO & DONNA ELISA Renato Dalpiaz
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