
Abbiamo intervistato Claudio Piersanti e approfondito la sua proposta narrativa partendo dall’ultimo lavoro “La finestra sul porto”
Intervista n. 267

1 Per prima cosa le chiedo di presentarci il suo nuovo romanzo “La finestra sul porto”.
È un romanzo breve, io lo definisco racconto, ripensando alla più bella collana della Einaudi di un tempo: Centopagine, si chiamava. Apparentemente è una storia d’amore come tante altre ma in realtà parla senza darlo troppo a vedere di temi molto più complessi. Per esempio dell’estraneità rispetto alla società, culturale e politica, in cui è immersa la vita del protagonista maschile. Roberto, non crede sia possibile cambiare il mondo che lo circonda, non considera neppure possibile parlarne, si trincera dietro la sua ironia, dietro un sorriso che nasconde molti pensieri segreti. Un altro tema importante, nel libro, è il senso di colpa, quello vero, profondo, cupo, così forte da non essere più neppure collegabile a un fatto concreto.
2 Nel romanzo ci sono 3 personaggi principali, Roberto, Maria e Piero, veramente ben caratterizzati. Quali sono gli elementi principali che li contraddistinguono?
Roberto è uno scettico, un illuminista senza più lumi, quasi un nichilista, politicamente un disperato. Da qui il suo bisogno d’amore, la sua inquietudine sentimentale, la sua insoddisfazione. Maria è una donna forte, profonda, apparentemente aristocratica, da molti considerata fredda. Ama molto il suo lavoro, è archeologa e studiosa, ha un lavoro importante, sa quello che vuole e quello che non vuole. Ha anche le sue fragilità, che riesce in qualche modo a gestire. Anche se non sembra è lei che suscita le principali svolte della storia. Piero è un attore fallito, benestante ma frustrato, nevrotico, profondamente narcisista, come ormai la maggior parte delle persone che ci circondano. È il più fragile dei tre. Mi fa tenerezza in questa sua fragilità arrogante.
3 Non è da dimenticare un’altra figura principale, la casa con la finestra sul porto, luogo segreto per Roberto. Qual è il carico emotivo che questa porta con sé e quale influenza esercita sul protagonista?
La casa è un personaggio come gli altri. Nel senso che è costruita come i personaggi umani, con l’immaginazione. Alcuni particolari della vista che si gode dalla finestra possono ricordare panorami che ho visto davvero (forse la Genova che vidi tanti anni fa da ragazzo) ma mentre scrivo la vedo esattamente come vedo gli umani. Lo stesso vale per le città, che a volte nei miei romanzi assomigliano a città vere (per esempio a Bologna, la città in cui sono cresciuto, un paio di volte a Roma e a Milano…) Sono un nomade, ho vissuto in tantissime città, quindi non appartengo a nessuna. Per questo le mescolo quando scrivo, e più spesso ne creo una totalmente immaginaria.
4 Uscendo un momento dalla storia c’è nella sua vita un luogo o una casa che riveste o ha rivestito per lei lo stesso valore?
Sì, forse una delle mie case a Bologna. Una vecchia casetta a due piani di mattoni rossi. Aveva un bel giardino anche se era in centro. Era riscaldata da una sola piccola stufa a gas ma l’ho molto amata, e lì ho scritto i racconti de L’amore degli adulti. Ci è nato mio figlio Stefano, anche questo me la rende cara nel ricordo. Non ho mai più amato una casa come ho amato quella. Ogni tanto quando passo a Bologna vado a guardarla di nascosto, e ne ho nostalgia.
5 Nel corso del romanzo le vite dei tre personaggi sopra citati subiscono un forte cambiamento, associato a varie reazioni emotive. Quanto è difficile padroneggiare e saper riportare efficacemente sulla carta tante reazioni umane così complesse?
In realtà quando i personaggi hanno conquistato una loro autonoma vitalità, la loro personalità, il loro destino è già scritto, anche se io stesso non lo conosco. Non c’è niente di difficile, fanno tutto da soli, non devo far altro che accompagnarli. A volte mi stupisco quando ci sono cambiamenti molto radicali, ma li accetto sempre. Non posso violentare il percorso naturale dei miei personaggi: posso soltanto rifiutarmi di continuare a scrivere, ma questo succede soltanto quando so già, troppo presto, cosa succederà. Allora non ha più senso scrivere, si scrive una sceneggiatura così, ma non un racconto o un romanzo.
6 Quale messaggio, qualora ci sia, sente di lasciare con questo romanzo?
Che anche nella disperazione può esserci una zona franca. Non possiamo considerarci responsabili di tutto il male del mondo, è giusto continuare a vivere anche in spazi ridottissimi.
7 Nelle sue opere c’è un forte interesse verso la psicologia e le sensazioni più intime dei suoi personaggi, penso a “Quel maledetto Vronskj” o ai racconti de “L’amore degli adulti”. Cosa l’affascina dell’essere umano? E quali pensa siano gli aspetti su cui la narrativa e la cultura non si concentrano abbastanza?
Non mi affascinano sempre, a volte mi ripugnano, ma non scrivo di personaggi ripugnanti – e li evito anche nella vita. I miei personaggi non sono però mai a una dimensione: sono pieni di contraddizioni, sono a volte incoerenti, antipatici, commettono errori, cadono, falliscono, si rialzano. Ci sono alcuni valori che tornano in molti: il più importante è il bisogno, il senso della dignità. Una persona può subire delle umiliazioni, delle sconfitte, ma non deve mai perdere la sua dignità individuale. Quando mi sono trovato in ambienti di lavoro inaccettabili me ne sono sempre andato, anche se non sapevo dove andare.. Nella solitudine si fanno grandi scoperte su noi stessi. Bisogna avere il coraggio di essere veramente soli, qualche volta. Soltanto così cominciamo a conoscerci. A volte si riesce persino a cambiare. I cambiamenti sono davvero molto rari e difficilissimi, sono quasi sempre illusori. Ma a volte avvengono e mi affascinano moltissimo. Non considero letteratura quella costruita con personaggi monolitici e prevedibili, detesto i commissari e gli agenti speciali con le mitragliette, non mi piacciono i gialli e neppure i thriller o comunque vengano definiti…
8 Nel corso degli anni i Social hanno sempre più preso campo come piazza di confronto e scontro. Qual è attualmente il suo rapporto con questa realtà?
Sono una solitudine affollata di solitudini, il contrario della solitudine salutare di cui parlavo. Sono un modo per non esistere. Il trionfo della patologia dei nostri tempi: il narcisismo, appunto.
9 Un’ultima domanda, ringraziandola per la sua disponibilità: lei ha scritto tante opere, quali sono per lei quelle che meriterebbero di essere (ri)scoperte e quali potrebbero aiutare un lettore vergine a entrare nella sua dimensione narrativa?
Ci sono lettori che apprezzano libri che ho quasi dimenticato, e non voglio contraddirli. Un autore non è un monolite, di solito ha molti accessi e sono tutti validi. In ogni caso non sta a me guidare i lettori. Se dovessi regalare un mio libro a una persona incontrata per caso forse sceglierei Luisa e il silenzio.
Recensione di Enrico Spinelli
LA FINESTRA SUL PORTO – Claudio Piersanti
QUEL MALEDETTO VRONSKIJ – Claudio Piersanti
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