Abbiamo intervistato Arianna Farinelli e toccato molti temi importanti partendo dalla sua opera “Storia di una brava ragazza”

Abbiamo intervistato Arianna Farinelli e toccato molti temi importanti partendo dalla sua opera “Storia di una brava ragazza”

 

Intervista n. 264

 

Arianna Farinelli (Foto di Margherita Mirabella)

 

 

Buongiorno, come prima domanda le chiederei di presentarci il suo ultimo lavoro “Storia di una brava ragazza

È la mia storia, un memoir. Sono nata all’estrema periferia di Roma, in una casa con pochissimi libri. Sono figlia di una barista e nipote di una giornalaia. Contrariamente alle donne della mia famiglia e a molte ragazze del mio quartiere, ho avuto il privilegio di studiare. Ho frequentato il liceo classico in una scuola del centro, un ambiente molto diverso dal mio, e a 24 anni ho vinto un dottorato di ricerca e sono andata a vivere negli Stati Uniti. Lì, nella Manhattan colta e opulenta, ho ritrovato gli stessi pregiudizi, lo stesso sessismo e la stessa violenza di genere che avevo conosciuto in periferia. Le disuguaglianze di genere non hanno passaporto, non sono tipiche di una classe sociale né di coloro che hanno un basso livello di istruzione. Sono un fenomeno globale e trasversale. Ho scritto questo libro perché la generazione di mia figlia abbia un presente e un futuro diverso rispetto alle esperienze fatte dalle donne della mia generazione.

 

 

Mi ha colpito molto il titolo perché credo che già quello dica molto. Come si può identificare una “brava ragazza”?

“Brava ragazza” è una etichetta che ci danno gli altri, uno stereotipo a cui noi, a volte, cerchiamo di assomigliare. È anche una trappola: ti induce ad essere iper-performante nello studio e nel lavoro ma anche, per certi versi, docile, passiva, obbediente rispetto ai maschi in posizione di potere. Ogni donna deve essere libera di definirsi e immaginarsi come crede. Dobbiamo guardarci con i nostri occhi e non con quelli di chi ci guarda.

Lei parte dalla sua storia personale per affrontare temi importanti e, ahimè sempre di grande attualità. Quali sono i momenti che in qualche modo l’hanno maggiormente spinta a realizzare un’opera del genere?

Il mio secondo libro, contrariamente al primo, era andato molto male, in termini di vendite. A me serviva il successo letterario per colmare la profonda mancanza di autostima che sentivo. Un amico mi disse che il mio valore non poteva essere sempre legato a ciò che gli altri pensavano di me (l’editore e l’agente ma anche il marito). Mi consigliò di scrivere la mia storia perché quello che mi era accaduto non era solo frutto del caso o della sfortuna e non era solo un racconto individuale.  Era una storia collettiva che si ripeteva da generazioni, quella delle donne.

La letteratura, sia classica che religiosa, è ricca di autrici e di figure femminili di grande spessore eppure a tanta grandezza non corrisponde né storicamente nè attualmente un’eguale valorizzazione della donna, quali crede siano i principali limiti della società in tale senso?

Questo lo racconto in un capitolo del libro: le donne della mitologia ma anche dell’opera lirica sono spesso esempi di fragilitas e fanno, il più delle volte, una fine tremenda (da Didone a Madama Butterfly, entrambe suicide dopo essere state abbandonate dall’uomo che amavano). Anche Emma Bovary e Anna Karenina sono suicide, dopo diverse vicissitudini sentimentali e tentativi falliti di andare contro le regole della società. Crescendo mi sembrava che queste donne che amavo moltissimo non solo fossero incredibilmente sfortunate ma anche esempi di una certa imbecillitas (se uno ti lascia c’è davvero bisogno di ammazzarti? mi chiedevo). E quando erano coraggiose, come Antigone o Tosca, il loro destino era comunque di morire. Avrei voluto leggere, crescendo, di donne molto più normali, con i loro tentennamenti e le difficoltà a trovare una voce propria, ma anche un destino meno tragico. Credo che questo mi avrebbe aiutata a trovare prima una mia identità e una mia consapevolezza.  Per fortuna più tardi ho incontrato autrici come Woolf, Beauvoir, Sontag, hooks che mi hanno aiutata davvero a crescere. Ovviamente nessuna di queste è nei programmi scolastici. Leggere queste autrici aiuterebbe a creare un immaginario femminile diverso. Impareremmo a darci più valore nella vita vera.

Cosa può fare la cultura per correggere la rotta e superare i limiti verso un vera emancipazione?

Educazione sessuale ed emotiva a scuola. Studio delle questioni di genere, in particolare della violenza. Dialogo e confronto con le nuove generazioni. Collaborazione tra mondo della cultura e mondo della politica per aiutare le donne ad entrare davvero nel mondo del lavoro (in Italia solo il 53% lavora fuori di casa).

Nelle sue opere “Gli ultimi americani” e “Gotico americano” ha affrontato molto temi legati al popolo statunitense, alla migrazione e all’integrazione in particolare. Quali sono secondo lei gli aspetti salienti della cultura e del pensiero americano e quali le maggiori contraddizioni con cui si trova a confrontarsi?

Questa è la terra delle opportunità (lavora sodo e realizzerai i tuoi sogni) ma se sei migrante, donna, transgender, gay, minoranza etnica, religiosa e linguistica è spesso molto più difficile. Non abbiamo tutti le stesse opportunità. Ci sono molti pregiudizi, moltissime discriminazioni. Alcuni gruppi sono costretti a rimanere ai margini.

 

 

Che ne secondo lei del “sogno americano” ammesso e non concesso che abbia ancor senso parlarne?

Voglio pensare che esista ancora perché i miei figli sono americani. Ma le cose con il secondo mandato Trump sono diventate molto difficili in termini di libertà individuali e diritti civili. Alle donne questo governo applica una vera e propria forma di misoginia di stato: dalla cancellazione dell’aborto come diritto costituzionale alle politiche per la natalità che ci vorrebbero solo madri e non lavoratrici.

Ad oggi i Social rappresentano la principale fonte di confronto/scontro e di condivisione, qual è il suo rapporto con questa dimensione?

Li uso poco (un po’ di più se ho un libro in uscita). Non partecipo alle polemiche (non ho tempo, non mi va, sono anche piuttosto timida su questo). Mi preoccupa molto la disinformazione che diffondono.

Come ultima domanda, ringraziandola per la disponibilità, le chiedo se c’è un tema particolare che le piacerebbe approfondire in una prossima pubblicazione.

Sì, ma preferisco non dirlo per ora. Grazie a voi.

Intervista di Enrico Spinelli

 

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