A RIVEDER LE STELLE. Dante, il poeta che inventò l’Italia Aldo Cazzullo

A RIVEDER LE STELLE. Dante, il poeta che inventò l’Italia, di Aldo Cazzullo

 

Oggi m’inchino e sono grata a tutto quel mondo accademico che di solito m’innervosisce, perché da un lato mi ricorda la mia pochezza, da un altro non ha molte versioni femminili. Ma questi sono i miei filtri. I miei limiti. D’altronde sono un essere umano. Unico come tutti noi umani. Unico come tutti i grandi luminari che di Dante hanno parlato nel corso della storia e che continuano a farlo nella contemporaneità. Unico come è Aldo Cazzullo. Unico come lo fu Dante. La mia storia mi ha tenuta lontano dalle pagine della Divina Commedia durante gli anni del liceo. Frequentavo un liceo internazionale e la letteratura italiana l’ho imparata per riassunti. Ma ricordo che un mio primo amore, un ragazzo olandese, leggeva la Divina Commedia e ne capiva le parole meglio di me. Non so se lo faceva per stupire mio padre (uomo di somma cultura) o per amore. “Amor, ch’a nullo amato amar perdona”. (Inferno, canto V, v. 103).

Oggi, lui non c’è più, mi sono laureata, ho avuto dei figli, ho fatto tanti lavori, mi sono sposata. Ma la Divina Commedia (come l’Ulisse di James Joyce) non è entrata nelle mie esperienze, se non parzialmente. Mai integralmente. Ma vi posso assicurare che quei frammenti di ‘commedia’ hanno riempito la mia anima, hanno fatto vibrare il mio corpo e hanno regalato suoni e emozioni di sconosciuta levatura. Per questo, prima di Aldo Cazzullo, devo ringraziare attori e poeti che non mancano, ce ne sono a migliaia, che recitano i versi di Dante, come se fossero poesie contemporanee. Eh già. Dante ci regala questo: la sua umiltà ce lo rende simile a noi, oltre i secoli. Un camminatore che vive accanto a noi, con gioia, dolore e tutte le passioni e le emozioni dell’universo. Uomo posseduto da un vorticoso e intricato desiderio: vivere.

Ma ora è Aldo Cazzullo che ringrazio: lui sa come farmi scorgere la Divina Commedia nelle canzoni di Dalla e Battiato, nei versi di Neruda e Ungaretti. Nel gioco politico che ancor oggi si colora di mediocrità, dove le leggi che si fanno a ottobre a novembre non son già più valide. Eppure questo mondo fallace e quasi meschino nasconde la vera ricchezza dell’uomo: la sua unicità. Ed è quella che Dante (nomignolo di Durante Alighieri – unico uomo di lettere al mondo chiamato con il nomignolo, lui così vicino alla gente comune) ci regala. Non solo ci regala la sua unicità, che lo ha eletto nei secoli il più grande scrittore alla di cui Divina Commedia tutti si sono ispirati, ma, attenzione, ci incita a vivere la nostra unicità, ad esprimere ciò che proviamo, a valorizzare al massimo la nostra vita. Aldo Cazzullo, con un linguaggio fluido e semplice ci racconta una storia intricata e complicatissima.

Con parole di facile passaggio risveglia l’amore, mai sopito, che tutti noi conserviamo nel nostro cuore, a volte a nostra insaputa, per l’opera più bella che sia mai stata scritta. Aldo Cazzullo sottolinea che l’Italia nasce dalla bellezza. Da Dante. Dalla Divina Commedia. Non è solo la lingua. Ma anche l’idea di una cultura, ancor prima che nascesse lo stato. Una cultura che si fonda sulla nostra unicità: da una parte l’Impero romano, dall’altra la fede cristiana. Questi due mondi sono alla base della nostra identità. Rappresentano un connubio che poi è alla base dell’umanesimo. Pessoa dirà che Dante è stato il primo umanista. Il primo uomo moderno. Aldo Cazzullo riporta le parole di Dante nel nostro quotidiano pandemico. Ci mette in guardia: il male non è fuori di noi. Ma dentro di noi. Riflettiamoci! Il Coronavirus può sembrare un male terribile. Ma alla fine assomiglia ai demoni danteschi: è un buffo, grottesco, alienante e sordo nemico. Quasi inoffensivo. Il vero male s’insidia dentro di noi. Solo riconoscendo questa grande verità, riusciremo a sconfiggere i nuovi demoni del terzo millennio. Solo guardando dentro di noi saremo in grado di estirpare il male e di costruire un mondo di fiducia per i nostri figli.

Dante auspicava, e Cazzullo evidenzia la necessità di crescere. Solo così capiremo la nostra parte di responsabilità per un domani migliore. Le opportunità per un domani di condivisione. Da italiani, popolo nato dalla bellezza. Esempio per il mondo intero. Dante ci ha costruito un contenitore che non consente ambiguità di risposta: solo l’impegno, le scelte e la ricerca della saggezza possono fare di noi uomini migliori, nell’accettazione completa di quel che siamo. Se rincorriamo imprese che conducono l’uomo a perdersi in bramosie di potere, lussuria e ricchezza siamo inesorabilmente votati alla sconfitta. Invece, se scegliamo la cura e l’amore abbiamo qualche chance di riscatto. Insegna Dante. Sono le donne che detengono i segreti della liberazione dal male.

Beatrice e la Madonna ci guidano in questo nuovo mondo se solo ne capiamo la bellezza. Anche in fase pandemica. Ai tempi di Dante, le pandemie erano l’abitudine. Oggi abbiamo davvero la possibilità di “rivedere le stelle”. Basta volerlo. Responsabilmente. Da bravi italiani. Da bravi europei. Da bravi cittadini del mondo. Da bravi abitanti del pianeta. La speranza del nostro futuro implica un rispetto di noi, delle nostre terre, delle nostre storie, dei nostri viaggi. L’identità italiana si salva nell’accettazione di tutte le altre identità. Senza distinzioni. Accogliere l’altro significa salvare la patria. Dante questo insegna. Cazzullo umilmente ricorda. E io oggi non consiglio, ringrazio. Grazie Dante. Grazie Cazzullo.

A RIVEDER LE STELLE. Dante, il poeta che inventò l’Italia Aldo Cazzullo

L’isola dei tesori, dove gli animali sono preziosi

1 Commento

  1. Il romanzone di Cazzullo non mi ha affascinato. Descrive un Dante che non c’è. Nel De Vulgari parla per 6 volta del linguaggio degli Italyani e 12 attribuendo il Volgare peninsulare ai Latini.Pensa ad una lingua Universale in simbiosi con la universalità dell’Impero. Mancava e mancò una Autorità Illustre, Curiale,Aulica ecc.che dotasse al popolo governato una Lingua. Peraltro non adatta tutti ma solo a uomini Illustri.Nei secoli successivi i dialetti si moltiplicarono e si dovette aspettare l’Unità d’Italia e il Manzoni per una lingua nazionale.

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